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Integrare in disequilibrio scostante

teoria del caos e della flessibilità

Perché scegliamo la flessibilità

Già lo sapete. Che siamo nati in uno splendido e caotico open space dalle pareti blu*. Forse anche per questo abbiamo compreso e imparato l’importanza dell’ordine, della disciplina, dell’armonia degli opposti e anche del caos: certo, quando il caos è creativo, quando è fonte di idee e di commistioni che arricchiscono.

Non nascondo che quando ci trasferimmo nei nostri uffici attuali, la presenza di stanze separate e di porte vere, fu una novità assolutamente apprezzata. Finalmente, ogni reparto con la propria dimensione e il proprio spazio; ognuno con la propria concezione del silenzio e del brainstorming.

Una realtà come la nostra difficilmente può possedere parametri validi per tutti: la visione del progetto e degli obiettivi ci guida in una direzione precisa e comune, ma il percorso è differente per ognuno, e ne va tenuto di conto.

Abbiamo imparato l’equilibrio nel caos facendone una filosofia e il nostro modo di affrontare il lavoro.

Sempre presenti, sempre attenti, sempre organizzati, sapendo che il mondo (o i clienti) sarebbero stati una variabile essenziale e imprevedibile, di cui non ci si deve mai scordare.

La fluidità del mondo del lavoro e, in particolar modo, del nostro settore, ha messo a dura prova flussi operativi e tempistiche, e ci ha fatto ben presto comprendere che il concetto così caldamente promosso del “Work-life balance” non era assolutamente applicabile alla nostra attività.

Certo, la vita e il tempo privati, gli interessi personali, gli spazi extra-lavorativi, per noi sono sacri come per chiunque altro. E li rispettiamo. Ma è anche vero che i due mondi, quello intimo e quello lavorativo, non sono totalmente definibili e scissi, né tantomeno quantificabili o ristretti in canoni orari.

Abbiamo abbandonato l’idea del cartellino, delle otto ore lavorative e ci siamo indirizzati verso una filosofia della qualità e non della quantità.

Verso l’idea che il tempo, nel nostro caso, non sia un buon parametro, ma lo siano i risultati, la creatività, l’entusiasmo e la dedizione; l’amore per il proprio lavoro, la curiosità, la voglia di crescere e di imparare sempre.

Abbiamo abbandonato l’idea che la vita possa essere completamente slegata dal mondo del lavoro quasi come se l’azienda fosse una prigione e il fuori la libertà. Crediamo che il luogo in cui si lavora, debba essere vissuto come una comunità, come un posto piacevole, dove si porta anche se stessi e le proprie passioni. Dove poter essere persone ancor prima che professionisti.

Crediamo in spazi condivisi e in aree di svago o di supporto al lavoratore: pensiamo che non si debba scegliere tra tempo libero e attività professionale: che la palestra vada portata in azienda. E così la biblioteca o la sala cinema, o l’asilo. Crediamo in un lavoro che integri la vita, che rispetti il quotidiano e che supporti le persone. 

Non saprei conteggiare le ore che trascorre qui un collaboratore, ma so esattamente il tipo di impatto che ha la sua presenza in azienda.

Non soltanto a livello professionale. Parlo dell’apporto che ognuno riesce a dare con la sua personalità, con il suo approccio nei confronti di un progetto o della squadra, con la creatività o con il problem solving, con il suo modo di far sentire un cliente a suo agio. Ecco, questo lo so.

La flessibilità che viene richiesta nel mondo lavorativo attuale può essere motivo di stress o tradursi in nuove forme di libertà e creatività. Noi abbiamo scelto la seconda opzione: abbiamo scelto l’integrazione della vita nel lavoro (e non viceversa). Perché il lavoro sia più che un mero assolvimento di una professione o di un compito. Perché il lavoro diventi una delle più alte forme di espressione della vita di un individuo.

La nostra attività è e deve essere una vocazione, una passione, un modo come un altro per migliorare il mondo che ci circonda, e in questo senso, non può avere cartellini o orari. In questo senso il lavoro è anche vita.

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